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Quello che conta

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FidisART's avatar
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Quello che conta



E siamo stati sciocchi ed incoscienti, nel credere di avere le Stelle a nostro favore, accarezzati dall'aurora, come pallida e rosata coscienza, senza sapere che la stessa, ci avrebbe stanato, bruciante, allo zenit, e che quegli stessi astri, che un tempo guardavano benevoli al nostro amore, ci avrebbero scagliato contro tutta la loro collera, riprendendosi quanto ci avevano donato. Ma noi perseverammo, umani nell'errore, diabolici nell'ignoranza, e sapevamo solo di appartenerci l'un l'altro. Avrei davvero voluto che il tempo si fermasse, che le altre persone, mia moglie, i miei figli, vivessero un'esistenza parallela, con un altro me, cristallizzate in questo bozzolo caldo, per sempre immobili, e per sempre felici. Mentre io, lo sciagurato, l'abbietto, avrei potuto vivere questo amore infedele, lasciarmi disgregare e ricomporre dalla sua forza, farmi avviluppare per sempre da quelle spire seducenti e pericolose. Tu sei stato per me come il canto delle Sirene per Ulisse: ma io non sono un uomo saggio, né scaltro, e nella mia vita non ho mai avuto un albero maestro a cui legarmi, per non soccombere. Non ho mai cercato assoluzione. Fu forse anche per questo che mi gettai fra le tue braccia, senza pensare alle conseguenze. Ahimè...! Mai ebbi -e mai avrò- il coraggio di chiamarti “male”. Come potevano quegli occhi puliti, quella corona di ricci, o quel sorriso dolce e ammaliante, ispirare sentimenti che non fossero dei più alti e rimarchevoli? Perché quell'uomo così bello, appassionato e nobile d'animo non avrebbe dovuto scatenare in me uno struggimento tale da pensare di essere la metà perduta del suo cuore?

No, Maxim, tu eri immune da qualsiasi bruttura del mondo. Persino da me.
Ma io ero assuefatto, affetto da te.
Eri il morbo e la cura, l'ustione e il balsamo, l'unico sbaglio che avrei potuto compiacermi di chiamare “giusto”, la ragione ultima per cui valesse la pena vivere, dopo aver perso tutto, si trattasse dei miei bambini, dell'onore, la rispettabilità, la dignità, e tutte quelle belle qualità che tracciano il profilo del gentiluomo ideale, oggi.

E... cos'è rimasto?

Una donna col cuore in pezzi, una famiglia distrutta, l'uomo che ho sempre amato, costretto a fuggire, perché non mi disperassi nell'idea di un amore finito, ma, piuttosto, che mi cullassi nel suo ricordo, nonostante la separazione necessaria a cui dovevamo prepararci.





Sono passati più di vent'anni, e, adesso mi sento vecchio, sono vecchio, e troppo stordito dalle passioni della gioventù, per provarne di nuove, più sane. Ora non mi resta più nulla, se non l'autocommiserazione. Mi trascino stancamente alla deriva, con, dietro, il mio fardello di sbagli “giusti”; sbagli, che, probabilmente, non espierò neanche se ottenessi il totale perdono dei miei figli, o della loro madre.

Non so te, ma in vecchiaia ho finito col diventare sentimentale, capriccioso, persino frivolo, in certi aspetti; come, per esempio, quello di circondarmi di cianfrusaglie, di piccoli cimeli che rendano la solitudine più sopportabile. Io sono estremamente attaccato alle mie cose: conservo tutto, gelosamente, nei cassetti, sulle mensole, sotto le palpebre chiuse, nelle mie deboli ossa, in ogni angolo di una mente non più fervida, nel mio cuore accartocciato come un petalo secco. Le fotografie, le lettere... l'orologio: se non fossero tutti lì, a ricordarmi che esisto, mi sarei convinto di aver semplicemente sognato di vivere. Come un embrione, una larva, un aborto.




È già da un po' che ho fatto ristrutturare la villetta nell'Hertford, per farne la mia dimora, e ora vivo lì, tra upupe, cicale e gli echi delle nostre risate pazze. Durante la bella stagione, faccio lunghe passeggiate nel boschetto, ripercorrendo i sentieri che sono stati teatro delle nostre, deliziose follie giovanili. Ed è stato per me, motivo di grande gioia, scoprire dei cespugli di roselline selvatiche, appena sbocciate, che si affacciavano tenere e tremolanti alla vita.
Mentre io la sto lentamente abbandonando. Sento che la mia fine è vicina, ma è con quieta rassegnazione che affronto la malattia che sta, pian piano, rosicchiando ciò che resta del mio corpo avvizzito, forse uno strascico del mio antico male di vivere e dei troppi momenti in cui l'ho desiderata davvero, la morte. Ma questo luogo di idilli e di dolci rimembranze mi riconcilia col mondo, e mi arma di una fiducia che mai avrei sperato di possedere. È a te, amore mio, a cui devo questa fiducia.





Sai, l'altro giorno ho rivisto Allison: è da un po' che con lei ho ripreso i contatti, un giorno è venuta da me, e ha deciso che dovevo tornare a far parte della sua vita, che potevo essere se non suo padre, almeno suo amico. Sono felice che mi abbia cercato, o non mi sarei mai reso conto della donna meravigliosa che è diventata. Avevi ragione tu, è bellissima, e trabocca di passione. Ed è ironico pensare a come lei nasceva mentre tu te ne andavi: in me si spezzava l'ultimo ramo secco, mentre lei germogliava fra le braccia della madre, tenera e soffice come una nuvola. Morte e Rinascita. Ma forse era destino che il suo arrivo dovesse coincidere con la tua partenza, per far sì che riprendessi il controllo, che non perdessi di vista, ancora una volta, le mie priorità...

Ma questo non è accaduto. Cal, da quando è entrato nell'età della ragione, non ha voluto più saperne di me. Ci siamo confrontati una volta, ma è bastato perché lui decidesse di archiviarmi come un caso perso, che da quel momento in poi si sarebbe considerato orfano di padre. Posso biasimarlo? No, certo che no. A lui ho lasciato solo un'eredità di bugie, infiocchettate e decorate come pacchi di Natale. Ma non ho mai mentito, mai, sul mio amarlo in un modo che neanche immagina, che io stesso non riuscii a quantificare, a suo tempo, e che ora come ora, non potrebbe certo comprendere, accecato e ferito dal colpo che gli ho inferto. Aver perso mio figlio è il rimpianto più grande che mi porto dietro, ancor più grande di quello di aver perso te. Ma, intanto mi faccio bastare qualche briciola di lui che mi fa pervenire Fanny, scrivendomi dei suoi viaggi in giro per il mondo, a rincorrere il suo amore per la musica. Lei teme che Cal non si sposi, io forse ne sono sollevato.

Fanny. A volte, vado a trovarla, siamo entrambi soli, e ogni tanto ci piace fare il punto della situazione, come se fossimo davvero una coppietta sposata. Forse non siamo mai stati tanto marito e moglie come adesso. Dopotutto, abbiamo due splendide creature, insieme, e non posso rinnegare l'affetto sincero che mi ha legato a lei per otto anni, né, immagino possa farlo lei. Adesso ci guardiamo e sorridiamo, passiamo pomeriggi interi a colmare i nostri vuoti, con silenziose chiacchierate, tra sorsi di tè, e assaggi dei suoi manicaretti. Come vedi, tutto normale. Credo che mi abbia persino perdonato, alla fine, oppure, conoscendola, non è mai stata realmente capace di nutrire sentimenti d'odio e di rancore verso di me, te, e noi.

Talvolta mi domando come si sarebbe comportata lei nella mia stessa situazione; probabilmente avrebbe fatto la cosa più giusta, sacrificando un effimero e infame amore adulterino, a quello saldo e duraturo di una famiglia, tenendo tutto il dolore per sé, e aspettando che il Tempo lenisse gli affanni, spargendoli, come polvere su una vita fatta di piccole cose. E noi non avremmo mai saputo niente del suo cuore di donna. Ma io non ho il coraggio e lo spirito di abnegazione di questa donna, e nemmeno la dignità e il contegno di quell'uomo che dicevo di essere: tutt'oggi non so chi o che cosa sono.



Lo sapevo quando avevo un posto dove stare -o da cui scappare-, quando sapevo di appartenere al sistema, o a quel brandello di normalità che mi restituiva la mia vita fatta di quelle piccole cose impolverate, e che andava avanti, pigramente, giorno dopo giorno... E poi... c'eri tu. Tu che eri il mio spazio vitale, che eri allo stesso tempo l'evasione e la routine, il mio momento d'eroismo e di vigliaccheria, e sei il mio ieri, il mio oggi, il mio domani...

Stringendo il tuo orologio fra le mani, abbandonato su questa poltrona, mi sembra quasi di sentire la tua voce, in un'eterna dichiarazione d'amore che non ho neanche bisogno d'indovinare...

Maxim...

Tutt'a un tratto, come se ti avessi evocato, sei qui, io ti vedo, oh sì, se ti vedo: sei davanti a me, bello come in tutti i miei sogni, e splendente come uno squarcio di sole fra le nuvole...

Mi tendi le mani, mi sorridi, dici di essermi venuto a prendere, e che non mi lascerai mai, mai, mai più, e io piango, perché... ti credo. Ti credo quando allungo le braccia per afferrarti, ti credo quando mi stringi, e io non sono più stanco, ti credo quando mi dici che è ora di andare, e ti credo perché “Ora è per sempre, Alan...” e questo... questo è quello che conta.

Tu mi prendi, e balliamo, ridiamo come matti e balliamo, balliamo, balliamo ancora, e poi i tuoi occhi; mi basta respirarti e... sono libero...

Sì, è per sempre, amore...”



 



Fine

ITALIAN ONLY FOR NOW

Scusate per la strana formattazione del testo, ma è la prima volta che submitto una fic su dA
>.< E scusate anche per l'eventuale delusione che incontrerete leggendo XD

I'll try to translate it as soon as I can, I swear Dx

All OC's belong to me and ~Nike-93
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RedxLuna's avatar
Um, can we just discuss the fact that your language even looks pretty? Okay, good <//3